Ecco, ci siamo. Era fatale che lo scontro da
teorico diventasse molto pratico. Dico subito che non mi piace. In
generale non mi piace veder menare nessuno, e meno di tutti i più
deboli. Nel caso, lavoratori con una lettera di licenziamento in tasca,
persone che sono davvero davanti al dramma, gente che probabilmente vede
benissimo – meglio di me – la differenza tra il fighettismo glamour
della Leopolda e le proprie vite. Una differenza dickensiana, quasi.
A
questi uomini (uomini perché lavorano l’acciaio, ma anche alle donne,
ovvio) si è detto di tutto in questi sei mesi di governo. Che sono
vecchi, che il loro posto fisso (l’unica cosa che hanno, e la stanno
perdendo) non è più un valore, anzi che sembra un peso per il Paese.
Si
è citato ad esempio Sergio Marchionne (quello che cacciava gli operai
con la motivazione che erano della Fiom), si è data tribuna (e applausi)
a un finanziere che vive a Londra invitato a dar lezioni a chi guadagna
facendosi il culo un centesimo di quel che guadagna lui. Si sono
insultati i sindacati dei lavoratori, e non parlo della gag dei gettoni
(non solo), ma dell’eterno, ripetuto, ossessivamente reiterato fastidio
per “i corpi intermedi”, la trattativa, il dialogo. Anche oggi, questa
mattina, un’esponente del nuovo Pd ha accusato la Cgil di tessere false
(poi retromarcia imbarazzante, ma è tutto imbarazzante, francamente). Il
Premier è andato in televisione a dire che “l’imprenditore deve poter
licenziare quando vuole”. Persino la legge di stabilità che abbassa le
tasse agli imprenditori (la famosa Irap), fa sconti miliardari senza
chiedere alcun vincolo, alcun impegno ad assumere. Anzi, si cancella
l’ultimo barlume di argine a una politica da Far West nel mondo del
lavoro. Segnali. Dieci, cento, mille segnali. Fatti, non schermaglie da
social network o freddure buone per twitter. O frasette di facile presa
come quelle dei Baci Perugina (come dice giustamente Maurizio Landini:
"slogan del cazzo"), o per scempiaggini come "Questo è il governo più di
sinistra degli ultimi 30 anni" (Renzi, febbraio 2014).
Ora il problema non è più “due sinistre”, ammesso che ci sia mai stato.
Ora
il problema è che per quelli in piazza oggi e per moltissimi lavoratori
(non solo quelli del 25 ottobre) il Pd che sta governando, quello
leopoldo e chic, quello amico di Marchionne e Davide Serra, quello che
va in visita da Cameron e dice che il lavoro in Italia è ancora troppo
rigido, questo governo che fa i patti con Berlusconi, applaudito da
Ferrara e da Confindustria, non è più un riferimento.
Nemmeno un
lontano parente. Se c’era un sottilissimo cordone ombelicale con il
vecchio Pci (e successive modificazioni) non c’è più. Per sempre.
Mi
dicono che la destra sta strumentalizzando, mi si segnalano
(dall’interno del modernissimo Pd renziano, tra l’altro) tweet di
Salvini e della Meloni. Ma… Ma quello che va detto è che oggi per uno
che lavora male, pagato male, incerto sul suo futuro, spaventato, e
perdipiù insultato (vecchio, conservatore, dinosauro…) le differenze tra
la Meloni e Renzi, tra Salvini e Poletti, tra Verdini e la Boschi sono
impalpabili, inesistenti. La politica sul lavoro è la stessa, basta
vedere gli applausi di Sacconi al Jobs act. Persino lo scherno e il
disprezzo verso chi lavora somiglia a quelli della destra più retriva.
Operaio, fabbrica, vengono trattate come parole antiche e volgari, senza
alcun rispetto (e non dico sacralità, quello era il vecchio Pci
ideologico, brutto, sporco e cattivo: meglio Fanfani ci hanno detto di
recente).
Ecco, ci siamo.
Il coraggio di dire: non siete più dei
miei, nemmeno lontanamente viene dunque dalle cose reali, non è un vezzo
(diranno: nostalgia, gettoni, anni Settanta, tutte cose che non
c’entrano niente), ma un dato di fatto. Ora - a parte i soldatini
zelantissimi più renzisti di Renzi - arrivano da quella parte, la parte
del gover inviti alla calma, alla freddezza, ad "abbassare i toni".
Potrebbe essere tardi.
Quando uno dice frasi come “chiudere senza
salvare” deve sapere che c’è chi ha pochissimo da salvare, ma proprio
perché pochissimo molto molto prezioso.
Lo scontro ci sarà, è
inevitabile, si può solo sperare che nessuno si faccia male come oggi.
Ma una cosa è certa: nessuno potrà dire all’altro “siamo dalla stessa
parte”.
Perché non è vero.
un incommensurabile Alessandro Robecchi
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